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Il ritorno di Helmut Lang, il creatore dello Streetwear minimale europeo.
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Ci sono voluti due decenni, e un ritorno clamoroso sulle passerelle per la SS24, per riscattare l’arte di Helmut Lang, ingegnoso designer austriaco mai veramente storicizzato, la cui formazione, storia e fortuna sono caduti, almeno per un po’, nel dimenticatoio.

Dopo anni di silenzio, il ritorno sulle passerelle della NYFW23 sotto la direzione di Peter Do.

Helmut Lang riporta i riflettori su di sé, rivendicando l’inestimabile patrimonio culturale che ha donato alla moda.

La tendenza a dimenticare è un problema universale. La memoria collettiva fa sempre fatica a ricostruire quell’intersecato mosaico chiamato passato, e la storia del costume non fa eccezione.

Ci sono voluti due decenni, e un ritorno clamoroso sulle passerelle per la SS24, per riscattare l’arte di Helmut Lang, ingegnoso designer austriaco mai veramente storicizzato, la cui formazione, storia e fortuna sono caduti, almeno per un po’, nel dimenticatoio. Eppure, in questo revival felice degli anni 90 e 2000 ci è finito anche lui, il designer universalmente considerato il padre dello streetwear minimale europeo mai veramente celebrato.

In questo editoriale ripercorriamo la sua storia, dalle radici alle sfilate che maggiormente hanno riscritto la narrativa della moda anni ’90, ritiratosi dalla scena fashion nel 2004.

Tutti i termini che oggi utilizziamo senza pensarci due volte, come trendy, fluidità di genere, mix di tessuti, non esisterebbero senza un pioniere: Helmut Lang.

La storia di Helmut Lang ci porta indietro nel tempo, in un viaggio alla scoperta delle radici di un fenomeno che ha influenzato in modo indelebile la moda contemporanea: lo Streetwear.

Nonostante l’abbondanza di influenze diverse, ogni movimento, senza eccezioni, ha una base, anche se remota. Nel tentativo di risalire alle origini dello stile streetwear, Helmut Lang è una figura chiave che ha portato per la prima volta lo stile casual sulle passerelle, rendendo i jeans, le t-shirt e i capi in pelle alla pari e con la stessa dignità dell’Haute Couture.

Quando la cultura giovanile ha invaso il mondo dell’alta moda, prendendo il posto dell’eleganza classica, gran parte di questo successo è dovuto direttamente a lui.

Sono pochi i dettagli sulla vita personale di Lang, poiché ha preferito tenere la sua vita privata lontana dai riflettori. Tuttavia, sappiamo che è nato a Vienna, in Austria, nel 1956, e ha trascorso la sua infanzia vicino a Salisburgo. La sua decisione di iscriversi a un’accademia commerciale potrebbe essere stata influenzata dal suo nonno calzolaio.

A soli 21 anni, Helmut Lang ha aperto il suo primo studio nel 1977, dedicandosi inizialmente alla progettazione di t-shirt e blazer. Tuttavia, ha rapidamente sviluppato un interesse per la moda d’avanguardia, facendosi affascinare dai grandi designer giapponesi, oltre a quelli emergenti, che stavano approcciavano alla moda con un attitudine del tutto innovativa: Kawakubo, Yamamoto, Miyake. Costruisce la sua narrativa stilistica con determinazione e audacia, portando le sue collezioni all’attenzione di tutti e, in pochi anni, debutta con la prima sfilata a Parigi nel 1986, al Centre Pompidou.

L’anno seguente ne aumenta la portata, includendo la moda maschile alla FW di Parigi ’87.

Grazie a lui è stato cambiato il calendario della Fashion Week di New York: prima del suo trasferimento negli Stati Uniti, le sfilate si svolgevano secondo l’ordine: Milano-Londra-Parigi-New York ma Lang decise di presentare la sua collezione in anticipo alle sfilate del 1997 e molti designer, tra cui Calvin Klein, seguirono il suo esempio. Il Calendario mondiale della moda dovette adattarsi alle sfilate presentate in anticipo a NY, mettendola al primo posto rispetto alle altre città.

La visione di Helmut Lang: minimalismo come nuova avanguardia.

Qual è la linea sottile che separa il casual dal minimalismo? Quando un capo smette di essere anonimo e diventa un’icona grazie alla sua semplicità. Helmut Lang ha lavorato sulla percezione, avvolto in un mistero che si rifletteva nei suoi spot puliti. Anche le sue modelle, con un trucco naturale, trasmettevano una complessità sottolineata dalla loro personalità; Lang è stato un marchio essenzialista ma mai semplice. Ogni sua scelta era studiata con cura, incluso il casting delle modelle, che non veniva fatto solo in base all’aspetto fisico ma anche alla personalità.

La sua costante fusione con l’avanguardia, le sue sfilate in ambientazioni urbane, gli spot futuristici e la combinazione di materiali diversi e naturali nei suoi abiti hanno contribuito a definire gli anni ’90 come un’era “cool”, legata strettamente all’immaginario della vita notturna, della cultura dei club e della musica house che in questi anni stava muovendo i suoi primi, diventandone di fatto un esponente, forse involontario. Una nutrita fila che seguiva la scena musicale, attento alle ultime tendenze più all’avanguardia, adottò lo stilista come statement riconoscibile della comunità.

Helmut Lang, iconica giacca catarifrangente — Spring 1995

La motivazione può essere semplice: Helmut Lang ha preso capi considerati anti-moda come t-shirt, jeans, sneakers e parka, trasformandoli in simboli di status. Ha mescolato materiali e tessuti diversi, naturali e sintetici, spruzzando abiti con colori metallici o shock per ottenere un effetto futuristico, ribaltando i canoni dell’abbigliamento. Ha fatto indossare alle donne giacche maschili, pantaloni dritti e capi in pelle, creando uno stile androgino che oggi riconosciamo come avveniristico. Legittimando un’intera generazione che sentiva la necessità impellente di liberarsi dai pregiudizi, dagli stereotipi della società.

Decide di abbandonare definitivamente le passerelle nel 2004, con l’ultima sfilata Spring Summer 2005 a NY.

Dopo 20 anni è tornato clamorosamente alla ribalta, grazie alla direzione artistica di Peter Do che ha presentato per la sua prima collezione alla New York Fashion Week SS24.

Il debutto di Peter Do come direttore artistico del marchio.

L’attesa per il suo debutto era palpabile, e senza dubbio rappresentava il momento più atteso della settimana della moda newyorkese. Do ha fatto sfilare una collezione co-ed uomo e donna intitolata “Burn to Go“: una celebrazione degli Stati Uniti d’America attraverso l’immagine metaforica dell’automobile.

Il poeta vietnamita Ocean Vuong, nel comunicato stampa della sfilata, ha sottolineato l’appropriatezza di questa scelta: “La decisione di Peter di basare la sua sfilata di Helmut Lang sull’immagine dell’automobile è estremamente pertinente. Per le persone queer, l’auto non è semplicemente il mezzo per realizzare il sogno americano delle famiglie tradizionali, per il quale è stata originariamente concepita.

Non rappresenta solo il simbolo del progresso industriale lineare, ma è anche un rifugio dal mondo esterno, un luogo dove possiamo essere di più di quanto il mondo ci permetta di essere. L’auto è il posto dove scappavamo, spesso di notte, magari “prendendola in prestito” dai nostri genitori, per raggiungere destinazioni che non erano luoghi, ma i margini delle strade, il sotto dei ponti, un campo di stelle cadute in un vicolo cieco. Qui spegnevamo il motore per amarci, piangere o parlare senza sussurri, per finalmente gridare gioia e dolore, mentre le stelle ci guardavano attraverso il parabrezza.

Peter Do ha raccolto l’inestimabile patrimonio culturale del fondatore del marchio, reinterpretandole con astuzia. Quale sarà la sua cifra stilistica personale è ancora da stabilire. Per ora, siamo felici che Lang sia tornato sui palinsesti della Fashion Week.

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