Big in Japan: storia del denim più lussuoso al mondo.
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I tradizionali telai a navetta oyoda, ancora oggi utilizzati dagli artigiani giapponesi del denim, intrecciavano i fili di ordito e di trama con un componente chiamato “navetta”che faceva girare il filo su due lati del telaio, avanti e indietro, consentendo una tramatura unica, resistente e impossibile da ottenere con i telai industriali.

Sai perché i Jeans Giapponesi sono i più cari e prestigiosi del mondo?

La prima volta che la società giapponese vide un Denim fu subito dopo la Seconda Guerra Mondiale: i soldati americani tornarono in patria lasciando una considerevole quantità di indumenti ed effetti personali in Giappone, tra questi, anche gli sconosciuti Jeans. Tutti questi lasciti Made in USA venivano poi venduti nei mercati dell’usato dislocati tra Tokyo, Osaka, Hokkaido, Kojima.

Questi pantaloni dal tessuto rigido e duraturo, dalle cuciture in vista e le comode tasche, attirarono l’attenzione e lo sguardo dei giapponesi in quel periodo, diventando particolarmente famosi tra i giovani benestanti e tra coloro che si ribellavano al tradizionalismo del paese, meritando l’appellativo di “Taiyōzoku”, letteralmente “pachiderma” (a causa del taglio dritto e rigido del denim, molto simile alle zampe degli elefanti).

Con la popolarità del Jeans americano, e la scarsità del prodotto in Giappone, alla fine degli anni Sessanta le principali marche americane adottarono nuove tecniche di produzione di massa per aumentare la produzione; i costi iniziarono a diminuire, così come l’uso dei vecchi telai, chiamati a “proiettile”, a favore di una riproduzione massiva del denim e conseguente calo della qualità e di attenzione ai dettagli.

Non passò molto tempo che i giapponesi iniziarono a notare la scarsa qualità dei jeans provenienti dagli States e – poiché storicamente hanno sempre avuto un’importante tradizione tessile – decisero di produrre un proprio denim cimosato, ovvero di larghezza ridotta e prodotto su telai a navetta, ispirato ai jeans iconici degli anni ’50 e dei primi anni ’60 che tanto avevano contribuito alla controcultura giapponese.

I tradizionali telai a navetta oyoda, ancora oggi utilizzati dagli artigiani giapponesi del denim, intrecciavano i fili di ordito e di trama con un componente chiamato “navetta”, appunto, che faceva girare il filo su due lati del telaio, avanti e indietro, consentendo una tramatura unica, resistente e impossibile da ottenere con i telai industriali che stavano già diventando dominanti in tutto il mondo.

Nel 1972, dopo ben otto tentativi, l’azienda tessile giapponese Kurabo riuscì a produrre il primo tessuto denim cimosato della storia del Giappone, chiamato KD8, nella sua fabbrica situata a Kojima, una città con un’importante tradizione tessile che oggi rappresenta l’epicentro del denim del paese.

L’anno seguente altri marchi iniziarono a produrre il proprio tessuto denim, come Big John, sempre con sede a Kojima e più tardi, nel 1979, Shigeharu Tagaki creò a Osaka il marchio Studio D’Artisan – oggi una delle icone del denim giapponese) – a cui si aggiunsero in seguito i marchi Denime, Evisu, Fullcount e Warehouse.

Insieme formarono quello che divenne noto come “Osaka 5”, creando uno stile distintivo e stabilendo le basi di quella che è diventata la cultura del denim giapponese, ai quali si aggiunsero altri marchi, come Samurai.

Grazie all’ossessione per la perfezione, l’utilizzo di macchinari tradizionali e la dedizione al lavoro ben fatto, i brand di denim giapponese superarono qualitativamente e per prestigio, i jeans americani a cui si ispiravano all’origine, creando una “scuola” propria, fatta di segni distintivi e dettagli irrinunciabili, da renderla riconoscibile in tutto il mondo.

Attualmente, la maggior parte dei pochi telai a navetta ancora in funzione nel mondo si trovano a Kojima, dove molti piccoli produttori hanno adottato la tradizione di Big John e degli Osaka 5, portando la loro produzione a livelli estremi di qualità e attenzione ai dettagli, difficili da trovare altrove, al giorno d’oggi.

Lontani dalla filosofia dell’usa e getta, dei capricci del fast fashion, gli artigiani giapponesi si basano ancora oggi sul concetto di “Takumi”: una parola che descrive il lavoro artigianale come unico stile di vita, una filosofia che va ben oltre la sola manualità.

L’inarrivabile lavorazione sartoriale, la qualità dei tessuti, l’uso delle migliori tinture, l’uso dei cotoni e materie prime premium e, ancora, gli innumerevoli dettagli (come le cuciture, i bottoni, i rivetti, le tasche e chiaramente il cimosato) hanno reso il denim giapponese il più prestigioso, qualitativamente superiore e – di conseguenza – più caro al mondo: un prodotto luxury da acquistare una sola volta nella vita e indossarlo per sempre: un esempio di stile di vita all’insegna dell’eco-sostenibilità.

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