Paninari: la prima e unica Sottocultura Made in Italy
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I Paninari indossano abiti costosi, conducono una vita da rampolli, introducono l’abbigliamento sportivo nel lifestyle urbano - come lo smanicato imbottito Moncler o le felpe Best Company - che solitamente indossano durante le vacanze sulla neve a Cortina o Courmayeur.

Da Milano San Babila alla Cultura di Massa

Milano, 1981

Siamo a Piazza San Babila, il centro vibrante della famosa ‘Milano da bere’.

Qui, un gruppo nutrito di ragazzi tra i 18 e i 25 anni si è radunato per l’apertura del primo fast food italiano – il Burghy – dal quale si diffonderà la prima sottocultura nata nel belpaese, i Paninari.

Ascoltano musica anglofona, soprattutto i Duran Duran, i Pet Shop Boys e i Beastie Boys.

Quest’ultimi, sono tre rappers dell’upper class americana che cantano con leggerezza i bisogni effimeri dei ragazzi moderni, come acquistare delle nuove Superstar oppure partecipare ai party più cool; sono l’antitesi delle figure emergenti dell’hip hop anti-materialista o politicamente impegnato, quelli che denunciano a suon di “barre” la povertà e l’emarginazione del ghetto.

Il riferimento culturale dei Paninari ai Beastie non è casuale, ma di fondamentale importanza per capire lo status sociale nel quale si muovono: sono i figli delle famiglie più agiate di Milano, vivono con spocchia la loro condizione, strizzando l’occhio al consumismo made in USA.

I Paninari indossano abiti costosi, conducono una vita da rampolli, introducono l’abbigliamento sportivo nel lifestyle urbano – come lo smanicato imbottito Moncler o le felpe Best Company – che solitamente indossano durante le vacanze sulla neve a Cortina o Courmayeur.

A differenza di tutte le altre sottoculture nate all’ombra di qualche ideologia politica o genere musicale, i Paninari non rivendicano nessun particolare credo, se non un estetismo smodato, disimpegno politico e frivolezza.

Paninari si nasce, come un successione dinastica

Sono i figli degli industriali meneghini, non vogliono produrre reddito come gli Yuppies: vogliono solo sfruttare la loro ricchezza e anche senza imbarazzo. Di certo, non basta indossare un paio di mocassini Lumberjack per distinguersi in quanto Paninaro: l’immagine è essenziale, ma lo è ancora più ostentare di essere in possesso della ricchezza necessaria alla costruzione di quell’immagine, quella ‘divisa’.

Chi non può è automaticamente fuori dal gruppo.

La loro peculiarità è un codice stilistico rilassato, che si traduce anche in uno stile di vita rivolto prettamente al godimento, allo scherzo, alla leggerezza e abbronzatura tutto l’anno: un culto del benessere tanto economico quanto estetico, proprio di chi può permettersi le vacanze anche fuori stagione, grazie alle seconde e terze case al mare e in montagna.

L’apice del movimento viene raggiunto nel 1986, quando i Pet Shop Boys incidono il brano ‘Paninari’, una canzonetta dal testo frivolo e disimpegnato:

‘Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Food, cars, travel
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh Armani, ah-ah-Armani, Versace’

A gennaio dello stesso anno viene pubblicata la rivista ‘I nuovi Galli’, un albo a fumetti dedicato alla cultura paninara che la definisce in modo netto, anche da un punto di vista lessicale: termini come ‘togo‘ (bello), ‘matusa‘ (vecchio) o ‘un cifro’ resteranno nel lessico gergale milanese per decenni.

Ma è con ‘Drive-In’, programma televisivo di riferimento dei giovani degli anni 80, che viene rappresentato – e beffeggiato – l’idealtipo del paninaro. Il mitico Enzo Braschi imita il gergo assurdo, le movenze e la spavalderia di quella che è una generazione di giovani meneghini, che ben presto si diffonderà anche a Roma con i cosiddetti ‘Tozzi’.

I Paninari introducono nella cultura di massa l’interesse quasi ossessivo verso la cura del proprio aspetto estetico, un’assoluta novità per l’uomo degli anni 80, contribuendo a creare la nuova immagine del maschio italiano e una nuova idea di mascolinità, che porterà – di lì a breve – alla nascita del man prèt-â-porter.

Verso la fine degli anni ’80, il movimento diventa mainstream: i paninari rompono i confini all’ombra della ‘Madunina‘, confluendo in diverse declinazioni e in nuovi territori, come Torino, Roma, Nuoro, Napoli.

Il loro ‘autentico’ diritto di nascita medio-alto borghese viene definitivamente snaturato, diventando meramente un trend.

Con l’avvento di Tangentopoli, la spensieratezza – e il benessere economico degli anni ’80 cedono il passo ad una delle crisi politiche più profonde del Paese, che vede indagati molti degli industriali padri dei giovani paninari. Con il cambiamento dei tempi, anche la sottocultura paninara si estinguerà senza clamori.

La ritroveremo un po’ più tardi con abiti nuovi, ma con le stesse peculiari caratteristiche di guadagno-consumismo-ostentazione grazie agli adepti della nuova figura politica italiana: Silvio Berlusconi.

Dal 1994 in poi, il sistema dei valori dai Paninari sembra ritrovare una nuova effige con il “Guru” di Milano 2 e le promesse del miracolo italiano.

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