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I ‘Cool Kids’ di Urahara che hanno inventato lo Streetwear.
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Tokyo, inizio anni 90. La città è una fucina di sottoculture e nuovi trend: in questo contesto così febbrile nasce "Nowhere", lo store che sarà considerato la "Mecca" dello Streetwear.

L’incredibile storia di tre amici di quartiere – Jun Takahashi, Nigo e Hiroshi Fujiwara – che hanno cambiato il mondo della moda.

“Streetwear” è un termine ormai utilizzato nei contesti più disparati e da diverse generazioni.

Il suo significato autentico è stato svuotato come un guscio vuoto senza ostrica.

Oggi, chiunque parli di di Streewear lo fa solo attraverso un trattato sulla genesi delle Sneakers, o sulla diffusione di un trend in particolare, trascurando l’intricato meccanismo che si nasconde dietro la sua nascita e diffusione.

Una moda nata quasi per caso, da chi vive la strada e trova nella strada la propria identità.

Vogliamo raccontare dove – e soprattutto come – è nato lo Streetwear giapponese – considerato il reale apripista di quello mondiale; e chi sono stati i pionieri visionari iniziatici di questo movimento, sempre più connesso al mondo dell’alta moda.

Tokyo, metà anni ’90.

Tra il distretto di Harajuku e quello di Aoyama, c’è una piccola area di circa quattro isolati chiamata Urahara – abbreviazione di Ura-Harajuku – che in giapponese significa ”The Hidden Harajuku“, la nascosta Harajuku.

Questi pochi metri di strada passeranno alla storia per aver dato i natali allo “Streetwear” Giapponese, secondo alcune scuole di pensiero, quello autentico.

A metà degli anni ’90 Tokyo vive un fermento incontenibile: ogni giorno nasce un nuovo trend, le strade sono un palcoscenico colorato dove i personaggi vestiti in modo eccentrico. Ognuno si sente libero di esprimere il proprio stile, purché sia originale.

Diversi negozi, spesso magazzini semi vuoti senza nome, iniziano a vedere capi provenienti dall’America e dall’Inghilterra, fiutando il potenziale della scena Hip Hop e Punk americana, in un paese che tutto sommato è sempre stato restìo alle influenze e ai trend d’oltreoceano.

Store come “A Store Robot” e “Vintage King” sono i primi ad avere avuto una visione futura su ciò che potenzialmente la nuova sottocultura dellHip Hop può rappresentare: la loro idea è quella di instillare nell’anima dei giovani giapponesi la curiosità verso uno trend nuovo, esotico.

Per arrivare a tale scopo, questo tipo di abbigliamento deve essere il più presente possibile tra le strade di Tokyo, sui banchi di scuola, nei punti nevralgici di interesse giovanile; in questo modo i brand di riferimento dell’Hip Hop americano sarebbero stati un reale argomento di conversazione, su dove acquistare questa o quella T-shirt, quel denim preciso, quella sneakers.

Dopo qualche tempo, in un ritmo lento ma costante, lo stile Hip Hop si diffonde a macchia d’olio, generando un movimento giovanile che vede i suoi adepti intenti in una febbrile corsa all’acquisto, mista ad autentica voglia di qualcosa di nuovo.

In questo febbrile contesto nasce “Nowhere”, lo store che verrà poi considerato la Mecca dello Streetwear giapponese.

Quando apre le sue porte per la prima volta, è poco più di una bottega di Urahara, gestita da tre ragazzi del quartiere: Jun “Jonio” Takahashi, Hiroshi Fujiwara e Tomoaki Nagao, meglio conosciuto come Nigo.

“Nowhere” è il risultato di una fervente curiosità, improvvisamente ridestata nei giovani di Tokyo nell’osservare le nuove tendenze americane: un posto che non vuole attirare l’attenzione e che vive del passaparola – in un’era pre-internet – di ragazzi delle scuole superiori che si chiedono gli uni agli altri dov’è che hanno comprato una determinata t-shirt o scarpe.

Lo store diviene un punto di ritrovo e di aggregazione comunitaria da parte di chi ricerca il look giusto, underground.

Il negozio è diviso in due parti: da un lato c’è Nigo, che stampa le T-shirt con grafiche realizzate da lui (il vero inizio di A Bathing Ape); dall’altro c’è lo spazio dove operano Jun Takahashi, che di lì a breve fonderà il brand Undercover, e Hiroshi Fujiwara, che successivamente darà vita al brand Fragment design.

La crescente popolarità di store come Nowhere e della cultura di strada, facilita l’apertura di altri negozi a Tokyo e l’espansione di nuovi brand: A Bathing Ape Busy Work vedrà presto la concorrenza di una label emergente legata al nome di un altro personaggio chiave in questo settore, Shinsuke Takizawa.  

Takizawa sovverte il sistema di ispirazione della moda del momento, focalizzandosi su uno stile legato alle sottoculture Yankee, tra Heavy Metal e Harley Davidson: un’estetica alla quale il pubblico giapponese non è abituato. Il suo brand Neighbourhood è l’ennesimo prodotto made in Urahara, dopo un primissimo sconcerto iniziale, i trendsetter giapponesi ne sono assuefatti.

Un’altra figura chiave di questa storia è il designer e rocker Nobuhiko Kitamura. Il suo brand Hysteric Glamour è il portavoce dello stile rock anni ’70 americano e dei film d’esplortazione, il cui comune denominatore è il cult movie Motorpsyco!”di Russ Meyer: un film-manifesto della label.

Difficile non citare altri designer che hanno contribuito a creare il movimento Street Style a Urahara, come SK8THING; Hikaru Iwanaga e il suo brand Bounty Hunter, Tetsu “TET” Nishiyama di WTAPS e FPAR e Goro Takahashi del brand Goro’s.

I Cool Kids del quartiere di Ura-Harajuku compaiono sulle magazine di settore come Asayan e Smart: ogni capo venduto nei loro store diventa un oggetto del desiderio per i teenagers, come le tee di Hysteric Glamour, la gioielleria di Goro’s oppure i denim “Savage” di Neighbourhood o un qualsiasi capo di BAPE.

Urahara diventa il quartiere nevralgico della rivoluzione dello street style Made in Tokyo, che fino a quel momento aveva sempre e solo sfoggiato brand americani come Levi’s, Ralph Lauren e The North Face – zone come Shibuya, ne sono l’esempio. I ragazzi giapponesi cominciano a preferire i prodotti del proprio paese, ispirati comunque da influenze provenienti da tutte le parti del mondo.

Il movimento di Harajuku o Urahara crea così tanti adepti che alla fine raggiunge anche l’Occidente all’inizio degli anni 2000: è stato proprio in quel momento che il termine “Streetwear” viene utilizzato per definire uno stile underground proveniente dalla strada, che più tardi raggiungerà il mercato mainstream.

Da quel momento, il tracollo inizia la sua inesorabile ascesa: BAPE viene venduta al colosso di HongKong I.T., l’era digitalizzata appiattisce una cultura nata con il passaparola, caratterizzata dalla difficile reperibilità dei suoi prodotti, uniformandosi alle regole del mercato globale, fatto di grandi produzioni, resellers e vendite massive.

Il design è diventato computerizzato, snaturando il mondo della moda dalla sua autentica ricerca del nuovo, piegandosi alle dinamiche del business.

Quanto a Urahara rappresenta non solo un quartiere dove sono nati i brand Streetwear più prestigiosi e universalmente riconosciuti al mondo, ma un punto di riferimento di creatività autentica, senza sovrastrutture. E così sarà per sempre.

Bisognerebbe regolare la misurabilità di un capo “Streetwear” in base a quanto sia poco / molto vicino allo stile originale di Urahara, cosa ne pensi?

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